Il periodo della fiducia
Foto: Paolo Profaizer (2014)
Il periodo storico che stiamo affrontando è contrassegnato da incertezza e cambiamenti, estesi a quasi tutti gli ambiti di esistenza. Il covid-19 si configura come un “ospite inatteso” che ha stravolto le nostre vite sia a livello lavorativo che personale. Lo smart-working è diventato improvvisamente un elemento necessario e una modalità protagonista per svolgere il proprio lavoro. I cambiamenti conseguiti a questo nuovo modo di lavorare sono numerosi. Le nostre case sono diventate i nostri uffici, portando ad una situazione prolungata di commistione tra due mondi in precedenza ben divisi. Lavorare a distanza comporta nuove sfide, anche da un punto di vista manageriale. Colleghi/e, dirigenti e collaboratrici/ori sono fisicamente distanti tra di loro, non possono vedersi o controllarsi e non possono mantenere le abituali strategie di comunicazione. Quindi, una delle sfide legate a queste nuove forme di relazione, per manager e dipendenti, è dare e ispirare fiducia.
Ma cosa significa fiducia?
“Chi sa completamente non ha bisogno di fidarsi, chi non sa affatto non può ragionevolmente fidarsi”, con questa frase Simmel nel 1908 fa riferimento al fatto che la fiducia contiene una componente di incertezza ed una di conoscenza. Questa incertezza riguarda sostanzialmente l’altro e le sue caratteristiche, infatti, come definito dall’APA (American Psychology Association) fiducia vuol dire “affidarsi o fidarsi dell’affidabilità di qualcuno (o qualcosa)” e in particolare “è il grado in cui ciascuna parte (gruppi o persone) si sente di poter dipendere dall’altra parte per fare ciò che dice che farà”. In sostanza, come suggerito da Rousseau nel 1998, la fiducia è lo stato psicologico di vulnerabilità nei confronti delle intenzioni dell’altro. E’ interessante mettere in luce in questo contesto, che esiste una differenziazione tra tre tipi di fiducia: la fiducia di base, la fiducia relazionale e la fiducia sistemica. La fiducia di base, o la “base sicura” – così come definita da Bowlby –, si sviluppa in tenera età sulla base dei rapporti con il care giver, e ha influenza sulle percezioni del soggetto nei confronti degli altri anche in età adulta. La definizione di fiducia relazionale è invece molto simile a quella presentata precedentemente, tratta dal dizionario dell’APA. Infine, la fiducia sistemica, presa in analisi dai fondatori della sociologia Max Weber ed Émile Durkheim, è essenzialmente l’atto di accettare di dipendere da qualcuno che non si conosce, da un sistema sul quale non si ha controllo: essa è visibile in abitudini in cui è sottesa, come ad esempio prendere il treno: per farlo è necessario avere fiducia in una serie di aspetti: che il treno vada effettivamente dove è dichiarato che andrà, che il macchinista sia in grado di fare il proprio lavoro, che la manutenzione ai binari sia stata fatta con regolarità, etc..
Appare chiaro che il concetto di fiducia è vasto e variegato ed è molto difficile trovarne una definizione univoca, considerati anche i diversi punti di vista da cui è possibile approcciarvisi.
Nel mondo aziendale, la fiducia agirebbe su 4 livelli paralleli:
- la fiducia dei manager verso i collaboratori, per delegare i compiti;
- la fiducia dei lavoratori nei confronti del manager, che spesso determina comportamenti di cittadinanza positiva e soddisfazione nel proprio lavoro;
- la fiducia dei lavoratori nei confronti dei propri compagni di team, necessaria per una collaborazione efficace;
- infine, la fiducia dei lavoratori verso l’organizzazione come sistema.
La situazione di lavoro da remoto a cui siamo esposti mette chiaramente in pericolo gli equilibri relazionali che fino ad oggi avevamo instaurato. Infatti, come accennato, è evidente un’impossibilità da parte dei manager di controllare visivamente i propri dipendenti. Si rivela ora pregnante la definizione di fiducia ad opera di Simmel: mancando ora la possibilità di controllo diretto sui propri dipendenti, c’è un inevitabile componente di ignoranza/incertezza. Pertanto, i manager abituati a esercitare una leadership autoritaria e controllante si trovano costretti a sperimentare nuove modalità di rapporto con i propri dipendenti, delegando compiti senza poter verificare direttamente la qualità del lavoro durante lo svolgimento, e questo richiede una quantità di fiducia significativamente maggiore rispetto a quanto non fosse precedentemente necessario. Tant’è che in un recente studio di Harvard Business Review (2020), il 40% dei manager ha espresso forti dubbi sulla propria capacità di gestire collaboratori da remoto, come pure sulla capacità dei lavoratori di rimanere motivati ed un terzo di essi ha dichiarato di non avere fiducia nelle capacità dei collaboratori di svolgere il proprio lavoro. In un’ulteriore ricerca (cit- 4) le preoccupazioni più diffuse risultano essere: “che cosa staranno facendo le persone?”, “dove saranno?”, “avranno capito il mio messaggio?”, “rispetteranno i tempi?”. In questo senso, è necessario adottare uno stile di leadership che comprenda una certa misura di fiducia, come ad esempio quello della leadership trasformazionale (le cui caratteristiche principali sono il dare un buon esempio come leader, essere empatici e infondere e dare fiducia ai dipendenti, facendoli sentire responsabili del proprio lavoro e dei risultati), ma i manager sono in qualche modo impreparati a questo cambiamento e necessitano di formazione, guida e supporto. Non solo, anche un lavoro su se stessi, per quanto riguarda la propria fiducia di base e relazionale, risulta fondamentale per instaurare un mindset di fiducia nei confronti dei sottoposti.
Osserviamo ora l’altro elemento componente la fiducia teorizzato da Simmel, la conoscenza: cosa rende un lavoratore degno di fiducia? Come visto, si tratta di un processo reciproco, il manager deve fidarsi ma anche i collaboratori devono mostrarsi affidabili. Inoltre, per mantenere i collaboratori propositivi, cooperativi e produttivi, è necessario infondere loro fiducia. Infatti, come rilevato dai manager stessi, lavorare da remoto richiede elevate capacità di auto-motivazione, si diventa in qualche modo “manager di sé stessi”. Per promuovere queste capacità, possiamo riferirci ai 3 cardini della fiducia:
- Benevolenza
- Integrità
- Abilità
Infatti, la fiducia è non solo legata alle componenti personali specifiche di colui che si fida (fiducia di base), ma anche ovviamente a componenti personali della persona fidata (per quanto riguarda le sue buone intenzioni - benevolenza - e la consistenza delle sue azioni rispetto ai valori che condividiamo - integrità - ) ma anche a caratteristiche contesto-specifiche, in quanto l’abilità di riuscita in un compito dipende dalle capacità e il contesto, ad esempio ci fidiamo di un medico per un’operazione chirurgica, ma non per una revisione della contabilità.
Lo stesso vale per i rapporti interpersonali tra i membri di un team, i quali hanno bisogno di fidarsi l’uno dell'altro per collaborare in modo positivo.
Nel mondo lavorativo aziendale esiste una forma di fiducia equiparabile alla fiducia sistemica, rivolta appunto al sistema-azienda, da parte dei dipendenti. Per parlare del rapporto dei dipendenti con la propria organizzazione si utilizza il termine “commitment” (dedizione, coinvolgimento). Nel noto modello di Mayer e Allen (1991), ne sono stati individuati tre tipi:
- il commitment affettivo, che è essenzialmente un attaccamento affettivo all’organizzazione, tale per cui il lavoratore è felice di fare parte dell’organizzazione e continua a lavorarvi perchè lo desidera.
- il commitment normativo è fondato sulla sensazione di avere una responsabilità morale nei confronti dell’organizzazione da parte del dipendente, tale da far sentire l’obbligo di prestare e continuare a prestare i propri servizi.
- il commitment per continuità è il tipo di commitment per così dire strumentale, dove il dipendente avverte che a livello di “scambio”, di costi e benefici, sia per lui conveniente continuare a lavorare nell’azienda in cui si trova.
Perché possa crearsi un tipo di coinvolgimento affettivo, che è quello in grado di creare il clima di lavoro più positivo, è necessario che il dipendente instauri una relazione di profonda fiducia nei confronti della propria azienda, del sistema in cui opera. Perché possa instaurarsi questa fiducia nei dipendenti nel sistema-azienda è necessario dimostrare anche con azioni concrete che l’organizzazione è interessata al benessere dei propri dipendenti e se ne prende cura.
Infine, da queste osservazioni, possiamo trarre un aspetto positivo per la società ed i lavoratori: tutti i manager sono ora portati ad abbandonare lo stile di leadership autoritario, il quale genera un clima di tensione, di generale insoddisfazione e basso tono dell’umore nei dipendenti, nuocendo sul loro benessere e anche sulla produttività (Goleman, 2001), mentre gli stili di leadership fondati sulla fiducia sono ora per motivi di necessità favoriti e coinvolgono i dipendenti nel lavoro in ottica partecipativa, migliorando anche il loro commitment organizzativo: da fiducia si genera fiducia, a partire dalla fiducia data dai manager ai dipendenti, si arriva alla fiducia dei dipendenti nei confronti del manager e dell’organizzazione.
Raffaele Virgadaula, Anna Sofia Fattor e Leonardo Almonti